La terza intervista fotografica del progetto Archidonne è dedicata ad Elena Tirinnanzi, l'archidonna in bici.
L'intervista ad Elena Tirinnanzi
Ho scoperto Elena tramite il suo profilo Instagram durante il primo lockdown dell'anno scorso.
In quei mesi stavo maturando e mettendo a punto il progetto Archidonne e lei è stata una delle prime professioniste a cui ho chiesto di partecipare. Mi aveva colpito e interessato la sua maniera insolita di raccontare l'architettura e il lavoro, scrivendo degli aspetti più concreti e quotidiani di questa professione in modo poetico e divertente, per versi, ma senza darsi arie e senza prendersi mai troppo sul serio.
Quando finalmente ci siamo incontrate di presenza per lo shooting, ho avuto la conferma di tutto questo, non si trattava di un'immagine filtrata per i social. Elena sa raccontare e raccontarsi senza sovrastrutture, in modo così diretto e piacevole che certe volte mi dimenticavo di scattare le foto. L'ulteriore conferma è arrivata quando, entrata a casa sua, ho conosciuto suo figlio Michele, un simpatico undicenne che, con disinvoltura e dolcezza infinita, mi ha offerto un bel piattino con caffè e biscotti. La mela non cade mai lontana dall'albero!
Ho deciso di fotografare Elena a casa sua (che è un piccolo cantiere in progress), nel suo quartiere, Citylife a Milano, e con la sua bici, che ormai è un'estensione del suo corpo.
Quando hai capito che avresti fatto l'architetto nella tua vita? Qual è stata la scintilla decisiva?
Durante i cinque anni di liceo, ho passato i miei tragitti a piedi, casa-scuola e scuola-casa, a guardare le case degli altri e ad immaginare come avrebbero potuto essere migliorate. Guardavo allineamenti, colori, decori, finiture, salvavo il buono e aggiustavo mentalmente il brutto. Nel frattempo studiavo greco, latino, letteratura, pur adorando la fisica e la matematica. Ho messo tutto nel mixer e ho profetizzato il mio avvenire.
Consiglieresti ai tuoi figli di intraprendere la tua stessa strada?
Non so dire adesso cosa consiglierei ai mie figli…certo però che quando passiamo insieme davanti alla Bocconi dico sempre “Ragazzi, salutate la vostra Università!!”
Da architetto, come vivi la tua casa? La rinnoveresti ogni 6 mesi ma ti devi trattenere?
Siamo reduci dalla trasmigrazione della cucina, che è venuta dopo lo spostamento della mega libreria di casa, che è venuta dopo lo spostamento delle camere dei bambini.
Adesso abbiamo il soggiorno che è un campo di battaglia, ma nessuno ha più voglia di
muovere un dito. Riprendiamo fiato e prima dell’estate faremo anche questo.
Poi, pronti per ripartire da capo!
Quanto l'essere donna influenza in modo positivo il tuo lavoro di architetto? In che modo la tua femminilità si esprime in modo non stereotipato attraverso la professione e come si traduce nelle caratteristiche e qualità progettuali?
Non so se sia una buona risposta raccontare di quella volta in cui una mia cliente mi ha velenosamente detto che, date le mie mancate risposte al telefono dopo le 19.30 di sera, avrei fatto meglio a fare la “mammina”, cosa che peraltro sono. Ha senso raccontare questo se aggiungo che quella stessa cliente, durante il più duro e cupo periodo del lockdown 2020, mi ha più volte scritto e telefonato per ringraziarmi e dirmi come fosse bella, confortante e confortevole la sua casa.
Ecco, due facce della stessa medaglia, il bianco e il nero, pregi e difetti.
Quali aspetti tipicamente maschili consideri una fonte di arricchimento per il tuo modo di progettare?
Ho lavorato per qualche anno con mio marito. Ancora adesso l’impresario, con il quale collaboravamo e collaboro, ricorda i tempi in cui Francesco lavorava con noi come tempi eroici, spregiudicati, pieni di sfide e sperimentazioni.
Ecco, io non sono così. Sono diligente, rigorosa, attenta.
Potrei imparare dai maschi a mollare un po’ i freni..?
Elena davanti l'ingresso di casa sua
Come sono stati gli anni in cui hai lavorato con tuo marito, anche lui architetto? Che dinamiche si sono create? Lo rifaresti? Cosa hai imparato da lui e lui da te?
Difficile fare un riassunto esaustivo delle dinamiche e degli equilibri che si instaurano tra moglie e marito: stavamo bene nel lavoro, così come stiamo bene in tutti i nostri giorni.
Certo, da una parte ho voglia di dire che da sola è meglio: mi piace occuparmi di tutto, anche delle faccende antipatiche, risolvere i problemi e gestire le cose a modo mio.
Dall’altra parte però, proprio sola non lo sono mai, perché spesso, come dico io,“apro un ticket”: chiedo consigli, pareri e opinioni al mio ex…collega.
Elena nella nuova cucina di casa sua
Cos'è la Bellezza in architettura, come la costruisci?
Oddio, non mi sento abbastanza una fine intellettuale per cavare fuori una definizione di Bellezza. Nei miei progetti trovo che i risultati migliori, quindi “belli”, li ho ottenuti le volte in cui si è creata una buona intesa con i clienti. Il rapporto di fiducia alimenta un dialogo costruttivo e creativo e favorisce un clima di lavoro sereno, condizione felice in cui diventa tutto bello, bellissimo! Belle le idee, bello il percorso, bello il cantiere e inevitabilmente bello il prodotto finale.
Dove cerchi l'ispirazione iniziale, per riempire il foglio-spazio bianco? Come si fa ad immaginare qualcosa che non c’è?
Un po’ c’entra quanto ho detto prima: la scintilla nasce dall’incontro con le persone.
Un po’ c’entra invece la capacità e sensibilità di lettura dei luoghi.
Da una parte, sicuramente, chi viene da me ha già in mente qualcosa, un’idea, un’ispirazione, un primo semino da fare germogliare.
Dall’altra è fondamentale visitare gli spazi per capire le loro qualità e i loro valori, dai quali trarre spunti interessanti.
L’insieme di questi due impulsi definisce e guida il progetto, che nella mia testa prende forma come un racconto. Mi piace immaginare la luce e le atmosfere che animeranno le stanze, le dinamiche della vita quotidiana delle persone che le abiteranno: i pranzi, le domeniche, i risvegli, le serate…quasi una scrittura teatrale.
Nei miei 3D di presentazione dei progetti a volte non mi tengo e apparecchio la tavola, appoggio i libri sui comodini, metto lo spazzolino nel barattolo sul lavandino…e vabbè.
Credi che il tuo contributo alla società, in qualità di architetto, sia puramente estetico o che si possa veicolare qualcosa di più grazie ai progetti?
Mi sembra altisonante chiamarlo “contributo alla società”, di fatto mi occupo di interni, di case, di persone e famiglie. Un ambito circoscritto, all’interno del quale sento che il contributo più valido che ho da offrire sia quello di riuscire a studiare spazi belli, comodi, affascinanti, in grado di regalare benessere, agio e piacere. La ricetta per questo sono convinta che sia nella gentilezza, nell’empatia, nell’autentica cura e sincera attenzione che cerco di mettere nel mio lavoro.
Il passato lockdown ha reso per un momento molto chiara l’importanza del tema della casa: proprio questo luogo intimo e privato è stato il potente campo di battaglia contro la malattia e il dolore. Dovevamo semplicemente stare a casa.
In quel momento ho sentito forte il valore di quello che so fare, che non ha molto a che fare con l’estetica, ma con qualcosa di più profondo, legato al ruolo dello spazio abitativo, al bisogno primordiale di riparo, sicurezza, accoglienza.
Evvai di supercazzola….
Come conciliare la personale cifra stilistica con le esigenze del cliente non addetto ai lavori, quanti compromessi bisogna accettare?
Questa è una bella domanda. Spesso chi sceglie me come architetto apprezza il mio lavoro e sa di essere concorde con me nello stile. In questi casi si tratta di correggere le “sbavature”.
In altri si tratta proprio di evitare lo schianto. Dove si riesce e dove…amen.
In questo lavoro occorre tanta pazienza, quando si apre un cantiere il risultato finale è molto lontano, bisogna avere la capacità di adattarsi agli imprevisti ed essere disposti ad apportare cambiamenti e modifiche in corso d'opera, ma immagino che ci sia un certo legame e un'affezione particolare per il progetto che si era pensato inizialmente ed è difficile discostarsene. Come risolvete questo aspetto?
Io adoro il cantiere! Mi piace proprio il senso di sfida e competizione che si vive ogni volta che ci si incaglia in qualche imprevisto.
Ho sempre fiducia nel fatto che le cose trovino poi la loro naturale strada.
Il cantiere è una storia, un percorso che arricchisce via via il progetto con la sua concreta verità e la sua pratica schiettezza.
Che importanza hanno i social per il tuo lavoro? Che uso ne fai? Oggi si potrebbe lavorare senza?
Io sono attiva su Instagram, tra momenti più fitti e altri con interventi più diradati.
Essere su Instagram è il mio modo per sentirmi parte di una comunità, è la mia via per appagare l'umano desiderio di partecipare alla vita altrui e di far entrare gli altri nella mia.
Ne traggo un piacere personale che è quello della narrazione e del ricordo, per me, della mia storia. Allo stesso tempo mi creo un profilo, una vetrina di me stessa e della mia attività, che porta contatti nuovi, conoscenze, amicizie e occasioni.
Probabilmente qualcuno sa fare anche senza e ha la potenza di fuoco per muoversi bene in questo fitto mondo. Io ho trovato un modo per far sentire la mia presenza.
Se ce l'hai, qual è il tuo progetto-manifesto?
Suona scontato, ma la nostra casa è il risultato del progetto più vero, libero e “sperimentale” che abbia mai avuto occasione di compiere.
E’ una casa “vecchia Milano”, vecchia di 100 anni! Risale agli anni venti del secolo scorso. La sua originale bellezza sta nell’altezza dei soffitti, nelle grandi finestre e nei loro ferri battuti, nei telai delle porte, nei pavimenti decoratissimi.
Il nostro contributo aggiunto sta nell’aver aperto i locali, eliminando corridoi e disimpegni, per adattare lo spazio alla vita della nostra famiglia e alle nostre dinamiche quotidiane. Questo ha avuto anche il bellissimo risultato di mettere in circolo, insieme alle nostre forti energie, anche luce, spazio, percorsi, visuali sul verde circostante.
Se sei curioso di vedere i progetti di Elena, puoi visitare il suo profilo social su Instagram:
Questo è il suo sito web:
Elena all'ingresso di casa sua
Elena nel suo soggiorno
Se anche tu sei una libera professionista che lavora nel mondo dell'architettura e dell'interior design e vuoi candidarti per partecipare al progetto ARCHIDONNE puoi contattarmi all'indirizzo martadavenia@gmail.com
Se sei alla ricerca di un fotografo per la realizzazione di RITRATTI PROFESSIONALI per il tuo sito web e i tuoi canali social puoi scrivere a martadavenia@gmail.com o compilare la richiesta di informazioni nella pagina Contatti del mio sito.
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